Ricordi di Torricella
Memories of Torricella
 

 La lettera [1]
  da Giosia Aspromonte

 

 

 



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A CHE SERVIVA CHE I NOSTRI CONTADINI SAPESSERO LEGGERE E SCRIVERE


Chi era nato e vissuto a Torricella, conosceva in pratica tutti i suoi abitanti; in ciò era aiutato:
- dai soprannomi che distinguevano tutte le famiglie;
- molte attività che si facevano insieme come certi lavori e certi divertimenti.
Tali occasioni costituivano, tra l’altro, momenti di incontro e di scambio di informazioni.

Esisteva inoltre la consuetudine per la quale, tutti si potevano rivolgere a tutti, premettendo però, in ordine crescente, il titolo di “zi”, “za”,” Mastr” e “Don”e raramente “Vossignori”.
Tutti sapevano anche gli affari di tutti dato il numero ristretto di persone che formava la comunità e la consolidata tradizione di partecipare tra tutti i dolori e le gioie di tutti.

La comunicazione nella comunità era verbale e quando si volevano fare sapere cose nuove a tutti c’era il Parroco che ne parlava nella messa della domenica; per le cose profane c’era invece il “banditore” che passando strada per strada richiamava l’attenzione con un suono prolungato di tromba e poi ripeteva quello che tutti dovevano sapere.
All’istante ci si scambiavano punti di vista interpretazioni e critiche sulle novità che si apprendevano.

Tutti i mestieri si imparavano, in silenzio, guardando e provando a fare.

Sapere leggere e scrivere, in quella realtà era considerato una cosa di prestigio ma di scarsa utilità; ciò in considerazione che tutti, fin da bambini, imparavano a leggere e scrivere il grande libro della natura che, sincera ed incontaminata, era a disposizione di tutti alla stessa maniera dell’aria pura e incontaminata che tutti potevano allora respirare.

Tale equilibrio fu rotto quando i vari personaggi, dicendosi presunti detentori di diritti di origine divina direttamente, incominciarono a dare ordini che dovevano essere eseguiti e basta.

Per fare ciò gli ordini dovevano essere scritti per non essere discutibili ed inoltre, in considerazione dell’elevatissimo numero degli analfabeti, negli ordini scritti fu subito scritto che tutti gli ordini pubblicati per iscritto non ammettevano come scusa il fatto che i cittadini non li rispettassero in quanto non sapessero leggere.

Sempre i sedicenti detentori di diritti di origine divina, direttamente scrivevano agli uomini, perché un giorno preciso dovevano lasciare tutti i loro impegni presenti e futuri e stare a disposizione degli incaricati medesimi di giorno e notte in un luogo remoto dell’Italia o dell’estero anche a costo di tornare mutilati o di morire poiché a loro volta si dovevano impegnare a ferire ed uccidere altri uomini. Le loro famiglie, le mogli, i figli, i campi, gli animali non erano cose che potessero interessare a coloro che facevano quello che Dio voleva salvo appropriarsene, senza nessun indennizzo, se si sarebbe presentata la loro convenienza e senza dare alcuna spiegazione a qualche altro sedicente detentore di diritti di origine divina.

Comunque questi incaricati comminavano pene severissime a chi non si fosse comportato come prescritto dall’apposito ordine scritto che il destinatario non sapeva neppure leggere.

Sempre questi incaricati, senza dare in cambio niente, richiedevano per iscritto e con ordini indiscutibili e minacce irresistibili il pagamento della “fondiaria” in contanti e senza discussioni commisurata ai terreni detenuti a prescindere dalla loro capacità di produrre un qualsiasi reddito.

Malgrado la Rivoluzione francese, La restaurazione, Gli Stati costituzionali, l’unità d’Italia, tali oltraggi e rapine fatte per anni ai danni dei nostri poveri contadini continuarono per anni, al punto che costrinse un gran numero di questi a fuggire: emigrare all’estero.

Ma emigrare in paesi lontani significava tagliare tutti i rapporti con il proprio mondo e l’unico esile legame che poteva continuare ad esistere potevano essere soltanto i rapporti epistolari (le lettere).

Una popolazione con un alto livello di analfabetismo, con “la fortuna” dell’unità d’Italia, improvvisamente dovevano imparare a leggere e scrivere in piemontese-toscano-romano perché ai presunti detentori di diritti di origine divina del momento così faceva comodo.



Inutile dire che dai loro continui discorsi, i nostri contadini manifestavano un odio viscerale verso tutti presunti detentori di diritti di origine divina; non a caso nella nostra zona di origine, dopo la caduta dei Borboni, si verificò in maniera evidente il fenomeno di brigantaggio con modalità molto simili a quelle attribuite al mitico Robin Hood.



“L’ se fa la lettera” (in italiano: sai leggere e scrivere) era la domanda terribile che ancora circolava a Torricella quando ci sono vissuto, allorché c’era da leggere un documento inviato da qualche prepotente o quando si prendeva in considerazione la possibilità di emigrare.

Con i tempi burocratici che niente hanno a che fare con le risorse economiche e con i tempi tecnici, finalmente lo Stato italiano si accorse che tutti gli italiani dovessero essere messi in condizione di leggere e scrivere e per questo costruì e attrezzò moltissime scuole in ... Libia(??); ci sono tuttora ma non sono utilizzate neanche dai libici.

Con i residui delle risorse avanzate per ricostruire l’impero, anche in paesi come Torricella si allestirono faticosamente le scuole elementari, distrutte subito dopo dalla guerra tanto avversata dalla povera gente e tanto voluta dagli presunti detentori di diritti di origine divina per ragioni come il razzismo e per l’avidità di impossessarsi di cose di altri..
A questo punto c’è da chiedersi o che gli incaricati hanno capito male oppure quando Dio ha dato gli ordini a questi presunti detentori di diritti di origine divina, ha avuto una amnesia circa i suoi COMANDAMENTI.


Figura 1 in questa fotografia relativa ad un matrimonio si vede bene il piccolo campanile della chiesa di S.Rocco
Quando si avvicinò il mese di ottobre 1946, a Torricella tutti parlavano della scuola che doveva riaprire dopo gli eventi bellici che avevano distrutto gli edifici delle scuole con le mine dei tedeschi; avevano scacciato la cultura fascista con la vittoria delle democrazie mentre i tra i fascisti in fuga c’erano anche i maestri ed erano inseguiti da partigiani tra i quali c’erano anche maestri (come si sa li inseguirono fino Bologna).
 
Figura 2
nel dopo guerra i bisogni divennero sempre più acuti
 
 



Figura 3 i miraggi di andare a stare meglio sempre più credibili

 
 


Figura 4 la solidarietà, la socialità, la collaborazione, i ritmi di lavoro

 
Molti dei nostri contadini pensarono che come lavoravano giorno e notte nel proprio paese si potesse lavorare ancora meglio in Paesi dove si lavoravano solo otto ore al giorno ed addirittura il sabato e la domenica non si lavorava affatto.

Nessuno li mise in guardia del tranello. Nessuno disse loro che i quei paesi ciascuno lavorava solo per se stesso ed ad un ritmo di lavoro che essi manco riuscivano ad immaginare; ognuno doveva pensare a se stesso e guai se per sfortuna si fosse caduti nella condizione di avere aiuto dagli altri.

Figura 5   allettanti inviti a lasciare la propria terra


Figura 6 facilità di fuggire la miseria

Figura 7 di famiglia numerosa di poveri contadini; di tutte le età; ognuno di loro volgeva attività lavorativa
La miseria alimentata vigorosamente dalla Guerra aveva convinto un numero sempre più elevato di persone sulla necessità di emigrare e quindi, nonostante tutto, tutti collaboravano per rimettere in moto il meccanismo che doveva mettere più cittadini possibili in condizione di rispondere affermativamente alla domanda “l se fa la lettera?”


Il 15 ottobre del 1946, alle ore 8,30, la campana piccola del campanile della chiesa di San Rocco suonava velocissima “a martello” per annunciare l’inizio delle lezioni che per me erano quelle di seconda elementare.

La nostra aula era stata sistemata al secondo piano del lato nord ovest del vecchio edificio comunale restaurato alla buona per l’occasione.


Figura 8 di fronte alla chiesa di S .Giacomo di Torricella c’era la Chiesa di San Rocco con il piccolo campanile dove erano due campanelle: la più piccola veniva suonata alle otto e mezzo del mattino per annunciare l’inizio della scuola

“zi Ricuccie” era ufficialmente il sagrestano della Chiesa di San Giacomo e come tale era anche il detentore delle pesanti chiavi della chiesa di San Rocco, in parte fatiscente e non ripristinata dopo la guerra. Ovviamente le chiavi davano l’accesso alla pericolante scala di legno che faceva accedere al piccolo campanile della chiesa di San Rocco.
Suonare quelle campane era un compito di fiducia poiché molto rischioso e comunque non potevano essere suonate “a distesa” perché dondolando potevano crollare insieme al minuscolo campanile. Venivano suonate una alla volta soltanto “a martello”; attraverso una maniglia di cuoio si prendeva il batacchio e si sbatteva sulla parte interna della campana; il suo suono, con un tono argentino, era udito con chiarezza da tutti gli abitanti di Torricella e veniva suonata con la massima puntualità.
“zi Ricuccie” era un personaggio particolare ed indimenticabile; di altezza media, di corporatura molto magra (in quei tempi i grassi erano pochi ma lui eccedeva per l’altro verso); vestiva in grigio o in nero con un vestito “stile” professionista dei suoi tempi ma si notava che il vestito era fortemente infastidito dai rammendi, le riparazioni, gli aggiustamenti, lavature, stirature che aveva dovuto subire negli ultimi 30 anni; ovviamente il vestito era completato da un gilè che aveva anch’esso a lungo patito ma che ancora conservava con orgoglio, un orologio da taschino con tanto di catena; ovviamente aveva anche il taschino per conservare i piccoli occhiali da miope nei rari momenti in cui non li aveva sul naso. Immancabile la “scoppola” e un permanente cattivo umore alquanto mitigato dalla tendenza a parlare poco.
“zi Ricuccie” abitava al terzo portone a destra lungo la strada che da la Chiesa di San Giacomo sale verso “Le Piane”; io abitavo con i miei nonni al quarto portone della stessa strada; passavo moltissimo tempo a vedere quello che faceva “zi Ricuccie”; venivo da lui tollerato poiché lui faceva tutto in silenzio ed io, malgrado la mia natura, avevo capito che con lui non dovevo parlare e tanto meno fare domande; forse per questo atteggiamento prima mi tollerò poi mi divenne amico e mi accordò la sua fiducia.
Aveva molti figli anche adulti, mi ricordo di due giovanotti simpatici, di due ragazze sui diciotto anni di cui una si chiamava Teresa ed una ragazza di circa la mia età che si chiamava Genoveffa. La moglie, sempre vestita di nero, cicciona, brontolona si chiamava “Za Annina”
“zi Ricuccie” ovviamente faceva le funzioni di bidello della scuola; zi Ricuccie” serviva anche i pasti all’unico detenuto del Carcere di Torricella; il carcere si trovava salendo la scala ad angolo che porta alle “tirriete”[5]

“zi Ricuccie” era chiamato anche “lu stagnine” poiché tra i tanti lavoretti che sapeva fare faceva anche lo stagnino; tutto in piccolo, forse date anche le sue limitate forze; l’ho visto trasformare un barattolo vuoto per conservare cibi (magari raccolto dall’immondizia), in un lume ad olio o a petrolio dall’eleganza di una lucerna antica; l’ho visto fabbricare scope, scopette e simili usando come materia prima la saggina[6]. Ovviamente l’ho visto fare piccole riparazioni e manutenzioni di molte attrezzature della chiesa di cui egli era Sagrestano.
Tutto sommato mi era simpatico anche se il suo vestito ed il suo umore scuri potevano essere un riflesso del vestito e dell’umore di Don Cosma che è stato il parroco scorbutico e dispotico di “zi ricuccie” nel periodo in cui sono vissuto a Torricella

La prima manifestazione di fiducia di “zi Ricuccie” nei miei riguardi si verificò per la prima volta quando mi diede il pesante incarico di andare a suonare la campanella dell’inizio delle lezioni sopra il pericolante campaniletto della vecchia chiesa di San Rocco.
Successivamente mi diede l’autorizzazione a farmi accompagnare anche da persona di mia fiducia.

Praticamente io indicavo l’inizio delle lezioni; operazione facilitata dal fatto che davanti alla chiesa di San Rocco si vedeva benissimo l’orologio del campanile della chiesa di San Giacomo.
Chi non ha mai suonato campane (intendo a mano non quelle elettroniche oggi in uso) non sa quale gioia e soddisfazione atavica se ne ricava specialmente da parte di un bambino; inoltre ero molto corteggiato dai miei compagni per essere scelti ad accompagnarmi a suonare la campana dell’inizio lezioni.


Figura 9 - " la scole” prima dei danni della guerra

L’AULA
Ho frequentato la scuola elementare di Torricella e più precisamente la seconda e nel 1945/46.
La quarta elementare frequentata nel 1947/48 farà parte di una altra testimonianza qualora si manifestasse l’interesse di conoscerla.

La seconda elementare veniva svolta in una stanza del vecchio edificio comunale che si trovava di fronte alla scalinata di destra che saliva alla Chiesa di S. Giacomo.
L’edificio era stato danneggiato dagli eventi bellici da poco trascorsi, ma era stato riparato di corsa per assicurare le funzioni sociali indispensabili.

Gli arredi della seconda classe elementare non erano in buono stato come quelli della foto sopra esposta ma erano stati rimediati alla meglio.


Figura 10
banchi e attrezzature rimediate nel dopo guerra


Figura 11 raro calamaio da banco, anni 30 , in bachelite[7] si usava nei vecchi banchi scolastici nel buco

Figura 12 banchi e attrezzature rimediate nel dopo guerra


Figura 13 banchi e attrezzature rimediate nel dopo guerra

 
Anche perché la seconda elementare era frequentata da oltre trenta ragazzi dall’età compresa tra i 7 e i 14 anni; c’era quindi anche un problema di diverso ingombro dei singoli scolari, non solo per l'altezza, il peso e le capacità, ma soprattutto perché i ragazzi non venivano considerati come persone, ma come “cose” che davano fastidio ed erano noisi.


I MIEI COMPAGNI DI SCUOLA

Figura 14 dall’Album di Silvio Porreca, Anno 1946
Se ne riconoscono pochi: il primo in piedi sulla sinistra, in primo piano, con il giacchetto chiaro, è Domenicuccio di fiorenze; accanto, le prime due
ragazze in primo piano, sono Luisella Pellicciotta (la figlia di Teresa di capè) e Gabriella Teti de la sciabbilette; davanti, con la giacca chiara e i
libri sotto braccio, è Giuseppe Vitacolonna di ribbecche; accanto, con il maglioncino scuro, c'è Silvano Fedele.

Io non ci sono nella foto ed è probabile che non si trattasse della seconda elementare. Comunque in classe con me c’era un Francesco o De Francesco il cui padre partigiano era stato ucciso dai tedeschi.

C’era anche un Porreca, della mia stessa età, ed era figlio del Farmacista di Torricella

Figura 15 i termosifoni alle spalle della bambina non funzionavano facevano parte della sceneggiatura fascista
(vedere stufa a legna nella foto della Figura 9)


Figura 16 come erano i ragazzi


Figura 17 come li avrebbero voluti

Perché tanta diversità? Perché era il primo anno che la scuola aveva ripreso a funzionare dopo la parentesi bellica. I bambini che avevano compiuto i sei anni nel 1940, 1941, 1942, 1943, 1944, 1945 non erano potuti andare a scuola; d’altra parte i genitori di molti di essi erano ben contenti di evitare di far perdere tempo loro con la scusa della scuola. I bambini anziché lavorare nei campi erano occupati con la scuola (sia andando che studiando, che permanendo a scuola).

Poiché quel tipo di scuola distribuiva cose uguali a persone con bisogni molto diversi, la percentuale di bocciati era altissima; specialmente tra quelli che non conoscevano la lingua Piemontese/toscana che usavano gli insegnanti, a salvaguardia della propria casta, e un po’ alla maniera del latinorum[8] di manzoniana memoria.

Tali erano i condizionamenti che molti dei ragazzi si auto convincevano di essere mentalmente andicappati e quindi inadatti alla scuola.

Tuttavia delle pubbliche istituzioni, la Scuola era l’unica alla quale veniva accordata un minimo di considerazione poiché, nei casi fortunati, poteva mettere i giovani in condizione di sapere leggere e scrivere le lettere con le quali potere comunicare con la propria famiglia durante il lungo periodo di leva obbligatorio[9] e nei casi di emigrazione; tutto il resto che la scuola faceva era una gran perdita di tempo che faceva trascurare le attività agricole e pastorizie dalle quali si ricavavano invece cose ben concrete.

Le altre istituzioni pubbliche erano considerate ostili o apertamente nemiche e che comunque danneggiavano i contadini e le loro opere.

Lo Stato pretendeva innanzi tutto il pagamento, in contanti, della “fondiaria” (imposte commisurate alla proprietà dei fondi a prescindere del loro rendimento); in una società in cui i soldi in contanti erano quasi inesistenti era una vera tortura racimolare il necessario.
Lo stato si prendeva i giovani nel pieno delle loro energie e li utilizzava al giogo[10] per il gioco della guerra nelle rivalità con gli altri loro parenti regnanti di altri Stati; in molti casi non li restituiva più e altre volte li restituiva gravemente mutilati.
Non permetteva di coltivare il tabacco ma pretendeva che si comprasse quello di pessima qualità che esso stesso vendeva a caro prezzo.

Non ricordo i nomi di quegli scolari ma sicuramente la loro provenienza sociale si poteva individuare molto facilmente dal loro linguaggio, dai loro vestiti, dall’estremo timore riverenziale verso il maestro, e ovviamente dal loro rendimento scolastico

Le loro mani callose male si destreggiavano a maneggiare matite, gomme, penne, pennini ed inchiostro; i loro libri e quaderni erano caratterizzati da evidenti “orecchie”.
Dei circa 35 ragazzi che frequentavano quella seconda elementare dieci o dodici di essi erano quelli che sbagliavano sempre tutto e quindi erano i destinatari delle frustate del Maestro Verna.
Dico bene, frustate, poiché il maestro era consapevole che con uno schiaffo o con un pugno poteva farsi male lui stesso.
Allo scopo si era sempre provvisto di un frustino da cavalli che prima dei registri o dei libri o di ogni altra cosa la mattina portava in classe e più di ogni altra cosa utilizzava per l’insegnamento.

Il suo metodo non era quello utilizzato da millenni per domare le bestie selvatiche e cioè l’utilizzo “della carota e del bastone”; egli aveva ulteriormente modificato tale metodo in “insulti e bastone”.
Dall’alto della sua “cultura” aveva convinto anche i genitori che quelle “bestie” andavano trattate soltanto in quella maniera.
Il suo frustino ed il relativo utilizzo erano divenuti normali e pacifici strumenti d’insegnamento. Specialmente per quei ragazzi i cui genitori non si reputavano in grado di eccepire un qualsiasi argomento contro tale metodo didattico.
 

IL MAESTRO


Figura 18 frustino da cavallo (principale strumento didattico del Maestro Verna)

Figura 19 Altri strumenti professionali per scrivere con penne, pennini ed inchiostro

Figura 20  Podestà dal 1936 al 1944 - Giovanni Verna, insegnante di scuola elementare Iscritto al Partito Nazional Fascista[11]
Non credo che abbia fatto i suoi studi in Roma nel 1700 dove abbia potuto apprendere soltanto su qualche vecchio editto in pietra del tipo che segue

Figura 21 Roma Via dei Pettinari (circa la metà a sinistra andando verso il Tevere)

Delle frustate in pubblico.

Anche nel divertimento i romani dovevano stare attenti; quanto a severità (se non altro minacciata) le autorità non scherzavano. Gli autori degli "eccessi" carnevaleschi rischiavano punizioni corporali. La fustigazione ad esempio, oppure i "tratti di corda"[12]. In questo caso il malcapitato veniva sollevato da terra con una fune collegata ad una carrucola, che teneva legate le braccia dietro la schiena, e poi lasciato cadere di colpo. E non si poteva far finta di nulla. Nella Roma dell'epoca infatti gli strumenti per la tortura della corda erano sparsi per le vie più frequentate della città. Nel 1692 "fu frustato per la città un ammascherato da Pulcinella perché andava scherzando per il Corso con un salame". E' solo un esempio, fra i tanti che riempiono le cronache dell'epoca. Ma, forse, di questo la popolazione non si preoccupava più di tanto. La tortura, come il carcere, erano considerati dai settori poveri quasi una sorta di "calamità naturali". Anche le prostitute sorprese in maschera - a dispetto del divieto loro imposto - venivano frustate, ovviamente in pubblico e, inutile dirlo, lungo il Corso... tutto è spettacolo!
Se le frustate erano benefiche nei divertimenti figuriamoci in una attività seria come la scuola potrebbe aver pensato il solerte maestro.
Sono convinto invece che anche lui, da bambino, sia stato la vittima dell’oppressione generazionale che per oltre 40 anni ha trasmesso ai ragazzi di Torricella

Come ha fatto nascere e ha trasmesso l'oppressione generazionale

La prova matematica che Galileo Galilei[13] presentò nel 1613 per convalidare la tesi copernicana, secondo cui era la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa, venne definita "falsa e assurda" dalla Chiesa.
Galilei fu costretto all'abiura, e finì cieco i suoi giorni. Solo trecento anni dopo, finalmente, la Chiesa si decise a rimediare al suo errore e a cancellare dall'indice gli scritti di Galilei, lasciando loro libero corso.
Oggigiorno ci troviamo in una situazione analoga a quella in cui si trovava la Chiesa ai tempi di Galilei; con la differenza, però, che la posta in gioco è assai più alta, in quanto il nostro decidere a favore della verità o dell'errore avrà conseguenze più pesanti per la sopravvivenza dell'umanità, rispetto a quelle che poteva avere nel diciassettesimo secolo. Da alcuni anni, infatti, è stato scientificamente provato (anche se resta tuttora proibito prenderne atto) che le conseguenze perniciose dei traumi subiti da bambini si ripercuotono inevitabilmente sull'intera società. Questa scoperta riguarda ogni singolo individuo e, se opportunamente divulgata, dovrà portare ad un mutamento sostanziale della nostra società e soprattutto dovrà liberarci dalla cieca spirale della violenza. Nei punti che seguono cercherò di chiarire meglio il mio pensiero:
1) Ogni bambino viene al mondo per crescere, svilupparsi, vivere, amare ed esprimere i propri bisogni e sentimenti, allo scopo di meglio tutelare la propria persona.

2) Per potersi sviluppare armoniosamente, il bambino ha bisogno di ricevere attenzione e protezione da parte di adulti che lo prendano sul serio, gli vogliano bene e lo aiutino onestamente a orientarsi nella vita.

3) Nel caso in cui questi bisogni vitali del bambino vengano frustrati, egli viene allora sfruttato per soddisfare i bisogni degli adulti, chiuso, punito, maltrattato, manipolato, trascurato, ingannato, senza che in suo aiuto intervenga alcun testimone di tali violenze. In tal modo l'integrità del bambino viene lesa in maniera irreparabile.

4) La normale reazione a tali lesioni della propria integrità sarebbe di ira e dolore, ma poiché in un ambiente simile l'ira rimane un sentimento proibito per il bambino e poiché l'esperienza del dolore sarebbe insopportabile nella solitudine, egli deve reprimere tali sentimenti, rimuovere il ricordo del trauma e idealizzare i suoi aggressori. In seguito non sarà più consapevole di ciò che gli è stato fatto.

5) I sentimenti di ira, impotenza, disperazione, desiderio struggente, paura e dolore - ormai scissi dallo sfondo che li aveva motivati - continuano tuttavia a esprimersi in atti distruttivi rivolti contro gli altri (criminalità e stermini) o contro sé stessi (tossicomanie, alcolismo, prostituzione, disturbi psichici, suicidio).

6) Vittime di tali atti vendicativi sono assai spesso i propri figli, che hanno la funzione di capri espiatori e la cui persecuzione è ancor sempre pienamente legittimata nella nostra società, anzi gode persino di alta considerazione, non appena si autodefinisca ''educazione''. Il tragico è che si picchiano i propri figli per non prendere atto di ciò che ci hanno fatto i nostri genitori.

7) Perché un bambino maltrattato non divenga un delinquente o un malato mentale, è necessario che egli, perlomeno una volta nella vita, incontri una persona la quale sappia per certo che ''deviante'' non è il bambino picchiato e smarrito, bensì l'ambiente che lo circonda. La consapevolezza o l'ignoranza della società aiuta, in tal senso, a salvare una vita o contribuiscono a distruggerla. Di qui la grande opportunità che è offerta a parenti, avvocati, giudici, medici e assistenti sociali di stare, senza mezzi termini, dalla parte del bambino e di dargli la loro fiducia.

8) Finora la società proteggeva gli adulti e colpevolizzava le vittime. Nel suo accecamento, essa si appoggiava a teorie che, corrispondendo ancora interamente al modello educativo dei nostri nonni, vedevano nel bambino una creatura astuta, un essere dominato da impulsi malvagi, che racconta storie non vere e critica i poveri genitori innocenti, oppure li desidera sessualmente. In realtà, invece, non v'è bambino che non è pronto a addossarsi lui stesso la colpa della crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da loro, che egli continua pur sempre ad amara, ogni responsabilità.

9) Solo da alcuni anni, grazie all'impiego di nuovi metodi terapeutici, si può dimostrare che le esperienze traumatiche rimosse nell'infanzia sono immagazzinate nella memoria corporea e che esse, rimaste a livello inconscio, continuano ad esercitare la loro influenza sulla vita dell'individuo ormai adulto. I rilevamenti elettronici compiuti sul feto hanno inoltre rivelato una realtà che finora non era stata percepita dalla maggior parte degli adulti: e vale a dire che sin dai primi attimi di vita il bambino è in grado di recepire e di apprendere atteggiamenti sia di tenerezza che di crudeltà.

10) Grazie a queste nuove conoscenze, ogni comportamento assurdo rivela la sua logica sino a quel momento nascosta, non appena le esperienze traumatiche subite nell'infanzia non debbano più rimanere nell'ombra.

11) L'aver acquisito sensibilità per le crudeltà commesse verso i bambini, che sinora venivano generalmente negate, e per le loro conseguenze arresterà il riprodursi della violenza di generazione in generazione.

12) Gli individui che nell'infanzia non hanno dovuto subire violazioni alla loro integrità, e a cui è stato consentito di sperimentare protezione, rispetto e lealtà da parte dei loro genitori, da giovani e anche in seguito saranno intelligenti, ricettivi, capaci di immedesimarsi negli altri e molto sensibili. Godranno della gioia di vivere e non avranno affatto bisogno di far del male agli altri o a sé stessi, né addirittura di uccidere. Useranno il proprio potere per difendersi, e non per aggredire gli altri. Non potranno fare a meno di rispettare e proteggere i più deboli, ossia anche i propri figli, dal momento che essi stessi, un tempo, hanno compiuto tale esperienza, e dal momento che fin dall'inizio in loro è stato memorizzato proprio questo sapere (e non la crudeltà). Questi individui non saranno mai nella condizione di capire come mai i loro avi nel passato abbiano dovuto impiantare una mastodontica industria bellica per sentirsi a loro agio e sicuri nel mondo. Dal momento che il compito inconscio della loro vita non starà più nel difendersi dalle minacce subite nell'infanzia, essi saranno in grado di affrontare in maniera più razionale e creativa le minacce presenti nella realtà.
. Tratto da: A. Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1987[14].


I MIEI COMPAGNI DI SCUOLA
Quelle trentacinque rumorose ed ingombranti “cape toste”a me sembravano allora avere caratteristiche inconfondibili
Un piccolo gruppo (figli di contadini braccianti che risiedevano nelle campagne) si caratterizzavano per
 Frequentissime assenze, anche di lungo periodo; in alcuni casi, malvolentieri venivano fatti ricercare dai Carabinieri[14] per diffidare i loro genitori a far venire a scuola i propri figli; ma il tutto avveniva solo per un fatto formale: la legge rendeva, in teoria, l’educazione elementare obbligatoria; ma ne ai maestri, ne ai genitori e tanto meno ai Carabinieri glie ne importava nulla della loro istruzione.
 La puntualità dipendeva molto dalle condizioni atmosferiche e sicuramente erano assenti i giorni in cui era possibile lavorare nei campi.
 I loro vestiti erano quelli maggiormente tappezzati di toppe a colore e non; spesso erano motivo di dileggio poiché ai piedi portavano le “chioche”[16].
 La non pulizia del proprio corpo e dei propri vestiti si vedeva e si preannunciava a distanza.
 Tra i loro maestri non vi era stato sicuramente il monsignore Giovanni della Casa[17]; e molto spesso neanche i loro maestri avevano mai sentito parlare dell’autore del Galateo.[18]
 Quando il sole fa crescere le erbe da estirpare o quando la pioggia rende fangoso il terreno da lavorare o quando il freddo rende tormentoso il lavoro nei campi era molto difficile che ragazzi che lavorano nei campi potessero essere affascinati dalle differenze della “e” quando esprime copula, verbo, congiunzione o terza persona singolare del verbo essere e tanto meno dalle parole che iniziano con la “s” ”pura” o “ impura”.
 L’attenzione durante le lezioni era unicamente quella di evitare di essere oggetto di disprezzo, per motivi di cui non avevano colpe e non meno offrire l’occasione per essere frustati dall’eccellente maestro Verna.
 Tra gli animali da governare, i terreni da arare tra i campi da seminare, gli alberi da potare, la legna da raccogliere e tra le mille altre attività richieste dalla lavorazione dei campi quali altri compiti a casa dovevano svolgere per non far agire la frusta del maestro Verna?

L’ATTIVITA’ DIDATTICA
Le principali attività che durante le lezioni venivano svolte erano il “dettato e relativa correzione, la lettura e i calcoli aritmetici.

Il dettato era un testo scritto da un autore che per sopravvivere aveva dovuto omaggiare tutti i potenti del momento utilizzando forti inclinazioni piemontesi, fiorentine nonché deferenze verso la romanità ed il fascismo (molti potenti fascisti rimasero ai loro posti dopo la caduta del fascismo). Spesso lo scrittore aveva fatto i suoi studi in altre città del l’ex regno delle due Sicilie[19]; il suo stile letterario e i suoi accenti linguistici verso tali città ne erano generosi debitori.
Il maestro che dettava non aveva un diploma di dizione e anzi sfido chiunque a trovarne qualcuno che allora sapesse di cosa si trattasse quando si parlava di dizione.

Per un processo scientifico, da poco dimostrato, esiste la certezza che quando un individuo ascolta una parola comprende il concetto attraverso il suono che l’orecchio percepisce completandolo con miliardi di informazioni che durante tutta la sua vita ha memorizzato nel proprio cervello.

Quando scrivevano la parola dettata quei cari ragazzi avevano a disposizione miliardi di parole dialettali del proprio paese e dei paesi vicini e le poche parole nuove udite per la prima volta a scuola ma sicuramente dal significato spesso ancora oscuro per loro.

Mentre scrivevano comunque dovevano evitare di fare cadere il calamaio, di far cadere macchie d’inchiostro sul quaderno di fare le orecchie al quaderno: tutti reati punibili con un ben determinato numero di frustate propinate con estrema durezza e pervertimento dall’eccellente maestro Verna.
 
Figura 22 la classica goccia di inchiostro sul foglio da scrivere
 
Intingere il pennino metallico che si trovava infilzato sul legnetto che costituiva la penna; attingere tanto inchiostro da potere scrivere ma non tale che potesse sgocciolare; secondo il Maestro Verna il tutto era agevolato dalla minaccia delle frustate.

Figura 23  “la buccett” (bottiglia) con l’inchiostro che
 

Figura 24  “la pen nchi lu pinnine” (dilalect)
spesso si doveva portare da casa in italiano: “la penna con il pennino”
Inutile dire che i dettati riportavano moltissimi errori che i maestri attribuivano unicamente alla bestialità degli alunni ai quali si faceva frequentare la scuola sicuramente per un errore di valutazione sostanziale: non avevano il cervello adatto.

Addizioni, sottrazioni, divisioni e piccoli problemi che facevano parte del programma d’insegnamento, diventavano tragedie poiché i maestri non si sognavano neanche lontanamente di legare alla realtà quotidiana di quei sfortunati ragazzi le problematiche burocratiche dei programmi scolastici statali: a quei maestri non passava neanche lontanamente per il loro cervello che pesi e misure del sistema metrico decimale potessero essere fatte capire con riferimenti alle allora ancora vigenti misure del ex regno delle due sicilie

Figura 25 c’era l’ossessione delle macchie vissute come cause di frustate

Figura 26 penne con pennini smontati (spesso si dovevano sostituire i pennini perché si spuntavano)


Figura 27 (scrittura su quaderno con penna a pennino e inchiostro)
La frequenza di derisione era scatenata dall’involontario utilizzo del dialetto, errori di dettato, inflessioni dialettali nella lettura di quell’idioma approssimativo e sicuramente figlio di tante madri.

La frequenza delle frustate avveniva secondo un editto non scritto del maestro Verna (dovrebbe averne visti, affissi ai muri della Roma papalina) (vedi foto sopra riprodotta, Figura 21).

In ogni caso i maggiori destinatari delle frustate erano nell’ordine:
 frequentissime per i figli dei braccianti;
 molto frequente per i figli di contadini coltivatori diretti che risiedevano nelle campagne;
 frequenti per i figli dei contadini coltivatori diretti specialmente se non residenti a Torricella e poi i figli dei contadini coltivatori diretti residenti a Torricella;
 più rare erano per i figli d’artigiani di Torricella;
 raramente per i figli di commercianti benestanti;
 quasi mai per i figli d’altri professionisti;
 mai per i figli d’eventuali difensori potenti.
Io che ero classificato come figlio di altri professionisti durante tutto l’anno ho preso solo una frustata (il rango mi derivava dall’avere i due zii materni maestri elementari e con le idee politiche diverse di quelle del fascista Verna).

In altri termini posso affermare che la persona da fustigare era individuata più da quello che oggi posso definire “censo”[20] che non dalla gravità del misfatto da reprimere.
 
Figura 28 quaderni con parziali “orecchie”
 
 
Figura 29 un’altra penna con pennino pronta per l’uso; il pennino spesso si smontava e si custodiva a parte per evitare che si rompesse con qualche urto
 
 
Figura 30
una coppia di calamai di bachelite
 
LA MIA FRUSTATA
Era il natale del 1946 ed il maestro scrisse alla lavagna un bigliettino di auguri che noi alunni avremmo dovuto copiare su un foglio del quaderno e portarlo ai nostri genitori.

Vigeva la regola ferrea fissata dal Verna che in caso si commettessero errori, anziché pasticciare, bisognava sottolineare la parola sbagliata e riscrivere quella esatta.

Siccome io vivevo con i nonni, il mio biglietto andava diretto ad essi.

Sulla lavagna il maestro, ovviamente non mise il nome del firmatario poiché ciascuno di noi doveva apporre il proprio.
Siccome il mio nome è Giosia io scrissi Giosia ma poi il maestro precisò che il nome doveva essere non quello ufficiale ma quello con il quale i genitori di solito ci chiamavano a casa (esempio Mingo anziché Domenico, Cola anziché Nicola, Ricuccio anziché Enrico ecc.).
A quella precisazione, seguendo la regola suddetta, io sottolineai Giosia e scrissi Peppino.
Quando il Maestro lesse il biglietto saltò su tutte le furie e alle mie sommesse parole per giustificarmi di avere seguito le regole delle correzioni, mi urlò “esponi la mano destra che ha commesso questo imperdonabile errore”.
Esposi la mano ed egli con tutte le sue forze frusto il palmo della mia mano destra al riso di tutti i miei compagni che finalmente potettero vedere anche me frustato.

Figura 31 fac simile dell’errore che mi costò una frustata
Quell’anno comunque feci un grande progresso in lettura e scrittura poiché persone amiche delle figlie di “Zi Ricuccio” si facevano comprare un fumetto per adulti da poco uscito: GRAND HOTEL[21] che riferiva attraverso l’utilizzo del fumetto strazianti storie di amore a lieto fine in cui i cattivi soccombevano e i buoni alla fine vivevano felici e contenti. L’unica copia veniva letta da molte ragazze di nascosto, era un giornale proibito, ma alla fine sia pure con mesi di ritardo ed in maniera furtiva arrivava anche a me (il mio gradito compito era di leggerlo a persone che non sapevano leggere).

Figura 32
un numero di Grand Hotel

Quell’anno andai avanti anche con lo studio degli altri problemi.
L’intero paese era stato di recente distrutto dalla guerra e quindi vi erano cumuli di macerie dappertutto.
Insieme al mio amico e vicino di casa “Mingo” di poco più giovane di me, passavamo moltissimo tempo a rovistare tra le macerie e tra le case distrutte alla ricerca di materie per noi preziose: recuperavamo pezzi di ferro, di rame, di piombo, di stagno e quando ne avevamo accumulata una certa quantità la vendevamo ai robivecchi che visitavano il paese durante le fiere; ovviamente dividevamo al 50 % i ricavi di quel modestissimo commercio.

Quanto sopra però supponeva intanto di sapere riconoscere i suddetti metalli, saperli valutare secondo l’ultimo “listino prezzi” sapere contrattare per venderli vantaggiosamente all’ultimo richiedente. Qualità. Prezzi, costi, ricavi, guadagni e loro ripartizione avevano acquisito presso di noi una utilità e famigliarità di gran lunga superiore a quella che poteva insegnare il maestro Verna.






Donato Aspromonte nato nel 1900 a Torricella Peligna e ha frequentato la seconda elementare nel 1907 a Torricella Peligna
Giosia Aspromonte nato a Torricella Peligna il 12.03.1938:figlio di Nicola (Fratello di Donato),e ha frequentato la seconda elementare nel 1946 a Torricella Peligna


Due allievi del maestro Verna:

Donato Aspromonte nato nel 1900 a Torricella Peligna e ha frequentato la seconda elementare nel 1907 a Torricella Peligna
Giosia Aspromonte nato a Torricella Peligna il 12.03.1938:figlio di Nicola (Fratello di Donato),e ha frequentato la seconda elementare nel 1946 a Torricella Peligna

 

 

 


Figura 33 (sinistra) Giosia Aspromonte e (destra) Donato Aspromonte in America

Si sono incontrati nel luglio del 1990 in Santa Cruz California USA
Poco dopo i convenevoli di rito tra Zio e Nipote il discorso cadde su un terribile maestro di seconda elementare che tutti e due avevano avuto.
Dalle descrizioni i due maestri erano molto somiglianti; addirittura sembravano la stessa persona.
La cosa fu subito esclusa pensando al grande numero di anni che erano trascorsi; poi però rifacendo bene i conti il nonno zio Dan poteva avere frequentato la seconda elementare all’incirca nel 1908 (in cui il maestro Verna poteva avere oltre 20 anni); quaranta anni dopo, quando era maestro di seconda elementare di Giosia poteva avere poco più di sessanta anni; ed infatti io lo ricordavo molto anziano e zio Dan molto Giovane. Da altre notizie che raccogliemmo avemmo la conferma che non solo era la stessa persona ma che usava sempre gli stessi metodi didattici.

In quaranta anni di insegnamento ha reso vittime dell’oppressione generazionale circa 1200 ragazzi di Torricella.

Salvo poche eccezioni 1200 Torricelliani sono stati resi indifferenti alla violenza da questo maestro.

Sia Io che mio zio ci siamo salvati per i seguenti motivi:
Mio Zio Dan: considerato di costituzione gracile non fu avviato al lavoro dei campi ma fu “messo” in una bottega del paese ad imparare il mestiere del sarto; la ricerca del bello, dell’elegante, dell’armonia dei colori nonché un clima sereno dove c’era anche l’abitudine di cantare mentre si lavorava (si consideri che non c’erano ne radio ne televisione e quindi il canto era un piacevole passatempo); gli errori e le negligenze degli allievi erano oggetto di rimprovero o disapprovazione da parte del Maestro. Obiettivo di tutti gli allievi era produrre quello che veniva chiamato “capolavoro” e quindi tutti gli apprendisti lavoravano per arrivarvi prima e meglio.

Malgrado i guai le pene e gli affanni fino a 90 anni, quando io l’ho conosciuto, era una persona di ottimo umore disponibile a ridere, scherzare e anche a cantare.

Io Giosia: ebbi una fortuna in prima elementare: una giovane e bella maestra che mi vide in difficoltà mi prese in braccio e sulla sua cattedra, amorevolmente, guidò le mie mani che si dimostrarono docili e veloci ad apprendere. Percepii il calore umano e la volontà della maestra a volermi aiutare ma con mio rammarico non ci fu bisogno di un successivo intervento da parte sua per farmi innamorare dello studio
Con pochi gesti mi fece capire che imparare può essere utile e piacevole che era poi il contrario di quello che successivamente teorizzava il maestro con la frusta.
Comunque se ce qualche cosa che il maestro Verna mi ha lasciato è l’avversione a tutti i tipi di violenza


Non si salvò invece a Torricella un certo Sangrilli(non ricordo se era il nome o il soprannome) ma quello che so di sicuro e che aveva una moglie e quattro cinque figlie femmine poco più grandi di me.
Abitava al piano terreno del palazzo dove la mia famiglia abitava al secondo e terzo piano; dal mio balconcino potevo assistere tutti i giorni alla stessa scena.
Verso l’ora di pranzo la moglie e le figlie cominciavano a tremare perché stava tornando il marito dai campi dove era stato a fare lavori con i buoi.

L’arrivo era preannunciato dalle sua urla e dallo scioccare dello “scriazzo”[22] (una specia di frusta[23]; lunga funicella di cuoio intrecciata e fissata all’estremità di una bacchetta che si usa in specie per incitare gli animali da tiro; un tempo era usata anche come strumento di pena e punizione); mentre le donne tutte schierate davanti alla stalla e ciascuna con qualcosa in mano che potesse esserle richiesta, cercavano di indovinare quale sarebbe stato quel giorno il disappunto per essere tutte frustigate, ma non tardavano a ricevere i primi colpi che si abbattevano su di loro, senza motivo, come una grandinata.
I pretesti erano pressoché identici tutti i giorni: non avevano preparato l’acqua sufficientemente fresca per lui, la stalla dei buoi non era stata pulita bene, il fieno preparato per gli animali non era sufficiente e così via.
Il penoso spettacolo finiva con una scarica di ulteriori frustate per fare rientrare in casa le donne piangenti.
Ogni giorno assistevo alla medesima scena e mi addoloravo davanti a tutta quella immotivata violenza


I PEZZI DI CARTA RILASCIATI DALLA SCUOLA

Riguardo i certificati ecc qui sotto, che rilasciava la scuola – Figure 34, 35, 36, 37, - bensi si riesce a leggere (e tradurre) i titolipiu’ grandi, il resto non si può decifrare, ma forse questi dettagli non hanno bisogno di essere visti e tradotti; dovrebbero essere Titoli di studio che accertano il livello culturale dell’interessato. - in italiano dispregiativo sono un esempio di “pezzi di carta, senza alcun valore”


Figura 34
FOTOGRAFIA DEL BRAVO STUDENTE


Figura 35 LA PAGELLA


Figura 36 Il certificato di studio



Figura 37 Un altro tipo di certificato di studio
 


Figura 38 La copertina di tutti i “pezzi di carta” emessi dalla scuola(sia pure non ancora aggiornata dopo la caduta del fascismo)


FELICITA’ PER GLI STUDENTI RICCHI


Figura 39    Completo per la scrittura con pennino ed inchiostro:
- tampone di carta assorbente
- calamaio anti ribaltamento (in questo caso vuoto);
- penna sulla quale fissare i pennini (uno alla volta;
- vari tipi di pennini per le diverse calligrafie (corsivo, inglese, gotico, rotondetto ecc).

 

 

MINIMO INDISPENSABILE PER UNO STUDENTE POVERO

Figura 40
calamaio di vetro piccolo



Figura 41 calamai di lusso da esibire nei salotti dei ricchi

Figura 42 Set di pennini che avrebbe fatto felice qualsiasi studente
I pennini si spuntavano spesso e non erano quindi più utilizzabili

 

Figura 43 Il Registro

Questa era la seconda elementare a Torricella nel 1946 che avrebbe dovuto avere lo scopo di far apprendere una o più discipline mediante un insegnamento metodico e organizzato.

Frascati (Rom), gennaio 2006                                                                                          Giosia Aspromonte


 

NOTE:

[1]  Esempi di lettere di emigranti :-
Sono di origine Abruzzese (Lanciano).
Sono partito nel 1959 perche' non avevo lavoro. A quei tempi si poteva emigrare solo
per atto di richiamo e dei parenti mi hanno richiamato in Canada.Ho fatto molti
sacrifici ma mi ambientai subito perche' all'epoca c'era molta solidarieta' tra gli italiani.
Dopo due anni di lavoro ho chiamato la mia famiglia e piano piano mi sono sistemato.
Ora sono in pensione. Il Canada per me è la vita e non tornero' mai piu' in Italia
perche' non mi sento di rinunciare a quello che ho avuto e che ho, anche se il mio
paese lo porto nel cuore.
D.G

Sono arrivato in Canada dalla provincia del L'aquila per raggiungere la mia fidanzata
che ho conosciuto in Italia. Mi sono trovato bene. Ho fatto fortuna. Ho una bella
famiglia, lavoro in proprio e ringrazio la mia patria adottiva.
G.R.

Sono partita con mio fratello da Giulianova per gli Stati Uniti nel 1952.
Avevo 12 anni. I miei genitori e fratelli rimasero li'. A 16 anni sposai mio marito.
Ho avuto una famiglia numerosa. L'America mi ha dato molte gioie e di dolori pochi.
Solo il dolore della lontananza dei miei fratelli. Ho vissuto nelle comodita' che
purtroppo al mio paese non avevo. Grazie all'America per quello che mi ha dato e
saluto tutti gli Abruzzesi.
N.V.

Nel 1967 partii da Nereto (Te) e andai a lavorare in Germania. I primi anni sono stati
duri ma sono riuscito a costruire le basi solide alla mia famiglia. Penso sempre al
mio paese, ogni tanto ci torno ma ora mi trovo bene qui. Forse dopo la pensione
ritornero'. Ciao Abruzzo.
R.T.

A 45 anni ho lasciato il mio paese di Tollo (Ch) per andare a Toronto.
Il distacco è stato brutto, ma qualcosa mi diceva che dovevo andare. Infatti con il
mio lavoro di falegname ho fatto fortuna e ho trovato moglie. Ora ho una famiglia e
nipoti. Non tornero' in Italia, perche' questa terra noi Italiani l'abbiamo italianizzata.
Credo che basta l'amore della famiglia e un buon lavoro per stare bene ovunque.
B.L.
[2] “Li se fa la lettere” in italiano: sai leggere e scrivere?

[3] Braccia sottratte all’agricoltura - sentenza dotta ed inappellabile del maestro Verna di fronte alle difficoltà con cui quei giovani figli cercavano di applicare la loro indiscussa intelligenza nel capire le assurdità di quella sua scuola; per il maestro questi ragazzi appartenevano ad una razza inferiore che pesava sulle altre e che al massimo potevano essere utilizzati come strumenti per lavorare la terra.

[4] “Trop studi sconcie la coccia de li giovine” - (proverbio di nonna Felice) troppo studio rovina la testa dei giovani ovvero troppa teoria e poca pratica; sapeva leggere e scrivere ma non conosceva l’ora et labora” di San Benedetto*; non conosceva i motivi della rivoluzione culturale di Mao in Cina; non sapeva come era organizzata la Cuba di Castro; ne sapeva che Leonardo da Vinci aveva detto che “la teoria è il Capitano e i soldati sono la pratica e quindi per affrontare ogni guerra erano ambedue fondamentali"; senza conoscere queste cose ed altre simili, la civiltà contadina, di cui era figlia, l’aveva resa portatrice di profondi pensieri molto utili anche a noi uomini moderni.
Con la morte di Nonna Felice si sarebbe del tutto dimenticato anche questo aspetto di quella Civiltà che indegnamente ho ricordato attraverso il proverbio in questa modestissima ed indegna nota.


* “Ora et Labora” era il motto di San Benedetto, ovvero alternare al lavoro la preghiera.... é il mezzo che San Benedetto offre per realizzare il desiderio della vita eterna.
“Si capisce San Benedetto meglio come la spiritualità della vita ordinaria... Il Benedettino é un spiritualità di lavoro – dell’uomo col lavoro, di Dio con la preghiera” (John Senior).
La bellezza e la semplicità della Regola Benedettino é la fondazione per la vita spirituale della communità. Questa Regola della Vita si legge ogni giorno. In questa “piccola Regola scritto per principianti,” troviamo un bel disegno per essere “chi fa della Parola”; un modo di vita assoggettato a prove durata che coltivava un continente barbarico dal puro esempio dei suoi seguaci.

San Benedetto (480-543)
Indubbiamente, il figlio più grande di Norcia fu San Benedetto, che lasciò all’età di 14 anni la sua città natale per andare a studiare a Roma. L’impero romano era crollato 18 anni prima con la morte dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo, e il vuoto di potere portò a una sempre crescente importanza amministrativa da parte della Chiesa di Roma e dei vescovi sparsi sul territorio. Con la creazione delle regole dell’ordine benedettino (famoso il motto “ora et labora”) e la fondazione del monastero di Cassino (il primo) e di tanti altri in Italia ed in Europa, S. Benedetto e il suo ordine monastico traghettò per secoli l’Europa intera attraverso i periodi più bui della sua storia, tanto da meritarsi la nomina a patrono d’Europa.

[5] L Tirriete ] – é in dialetto – in Italiano significa le terrazzo o la terrazzo – a Torricella é un balcone o terrazza con ringhiera di ferro battuto che affaccia la Chiesa di San Giacomo Apostolo in direzione del Corso. In questa foto é quel balcone in alto, ietro la ragazzina.

[6] ] saggina - altro nome di una varietà di sorgo; alcune varietà coltivate del Sorghum dochna, come Sorghum dochna var. technicum, nota come saggina da granate, vengono utilizzate per fabbricare spazzole, scope e simili.
Il sorgo volgare è coltivato per scopi alimentari (sia per l'uomo che per gli animali) e industriali (fibre e zuccheri).
Le fibre del sorgo vengono utilizzate come biomassa per la produzione di energia, la paglia è bricchettabile, con una produzione di circa 300 q per ettaro. La saggina non ha scopi alimentare per la gente, invecce la destinazione della pianta è alla produzione di granella, di foraggio, fibra e zuccheri.
Il sorgo è un cereale coltivato, a ciclo primaverile-estivo, vista la sua resistenza all'aridità; è praticabile sia in asciutto che in irriguo ed è pertanto molto adatta alle condizioni climatiche dei nostri ambienti.
Coltivato per la produzione di granella prende nell'avvicendamento il posto della coltura principale, mentre per le altre destinazioni è preferibile l'inserimento come intercalare.
La semina avviene in maggio (molto raramente la temperatura scende sotto lo zero); il terreno deve essere ben lavorato: aratura profonda, frangizollatura e/o fresatura, semina di precisione (il seme deve stare a 2-3 cm di profondità, con densità 30 piante circa per m².

Il sorgo fu portato dagli schiavi africani in America e oggi il maggior produttore mondiale di sorgo sono gli Stati Uniti. Nel 2004 la produzione mondiale di sorgo è stata di circa 59 milioni di t.

 

Sorgo ornamentale
Uccelli amano le teste pieno di semi
Danno fieno di ottima qualita per i lavori artigianali
e per le scope. Il Sorgo ornamentale
cresce circa un metro e mezzo di altezza,
é simile al grano ma senza le orrecchie.
 
Le teste sono usate per fare le scope! Oggi la maggior parte delle scope sono fatti da fibre sintetiche, ma si può ancora oggi trovare alcune scope fatto dalla Saggina.


[7]La bachelite è il nome di marca di una resina fenolica termoindurente ottenuta per reazione tra formaldeide e fenolo. Fu sintetizzata per la prima volta 1907 – 1909 dal chimico americano nato in Belgio Dott. Leo Baekeland, da cui prende il nome. Era la prima materia plastica fatto da polimeri sintetici. Fu usato per i proprietà non-conduttive e resistenza al calore, per la manufattura degli apparecchi dei radio e telefono. L’invenzione della bachelite é considerato di essere l’inizio dell’Età delle Plastiche.
Negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, dovuto alla sua durezza e durabilità e dovuto alla scarsita di ramo, che serviva per fare i tubi di esplosivi, hanno considerato usarla come materia prima per i “pennies” (i centesimi). Hanno preparato alcuni modelli nel 1942 ma invecce nel 1943 hanno usato l’acciaio e poi nel 1944 e 1945 hanno riciclato i tubi degli esplosivi.
Il Bakelite Corp. fu formato nel 1922; una ditta era aperto a Tyseley, Birmingham nel 1931, che stava sempre attiva finchè non fu demolito nel 1998.


formula di struttura tridimensionale della bachelite

II fenolici sono poco usato oggigiorno per i prodotti di generale consumo dovuto al alto costo e complessità della loro produzione ed alla loro natura - che é fragile alla rottura. L’eccezione al generale diminuzione dell’uso è per i prodotti dove proprio si vuole adoperare ed utilizzare i loro proprietà specifiche.

Pressando a caldo, si ottengono oggetti con le caratteristiche fisiche, meccaniche, elettriche più diverse che ne determinano l'uso. Le bacheliti vengono utilizzate soprattutto come polveri da stampaggio e, a caldo, in miscela con riempitivi (farina di legno, cascame di cotone, farina fossile, ecc.), con agenti di indurimento, lubrificanti e coloranti. Sono ad esempio ottenuti in tal modo gli apparecchi telefonici, le bocce sintetiche, i cruscotti delle automobili, molte parti protettive di apparecchi elettrici, ecc.

L’appello rétro dei pezzi vecchi di Bachelite, di recente, soprattutto la roba da cucina ed i giocattoli, li ha fatto piuttosto da collezionare: una breve ricerca, ad esempio, di eBay dimostra centinai di elenchi per tutte le cose Bachelite, dai radio ai gettoni per il poker ai telefoni.

[[8] latinorum - la lingua latina quando è usata in modo pedantesco e volutamente incomprensibile: L’eroe dice al prete, “che vuol ch’io faccia del suo latinorum.?” (Manzoni)

Alessandro Manzoni – 1785–1873, scrittore e poeta italian, meglio conosciuto per il romanzo “I promessi sposi” (1825–1827), considerato uno dei più grandi opere di fizione italiana.
(In questo romanzo, il giovane si lamenta del “latinorum” usato dal prete).
Manzoni l’ha scritto sotto l’influenza di Sir Walter Scott; era un romanzo del settecento e di Milano che dimostra una conoscenza dettagliata della vita italiana e rimane uno dei romanzi più duratura italiano. Entro 1875, 118 edizioni erano usciti, ed il lavoro fu largamente tradotto. Dopo il primo numero, communque, Manzoni ha continuato di fare revisioni, pubblicando una versione stilisticamente superiore in italiano-toscano nel 1840. Come risultato, suo influenza sullo svilluppo di uno stile cosistente di prosa italiano era immensa.


[9] leva obbligatorio – in italia fu abolito soltanto recentamente; la legge di 23 agosto 2004 lo ha sospeso – e divenne non più obbligatorio dal 1gennaio 2005.
Mentre in Inghilterra la leva, il “Servizio Militare”, finì negli anni ’60. (Nel 1961 quando io (la tradutrice) entrai all’università di Londra, era la prima volta che i ragazzi potevano accedere all’università direttamente dopo aver finito la scuola e tutti i Professori facevano commenti riguardo quanto giovane erano i nuovi studenti in confronto con gli anni precedenti.)


[10] “al giogo”
- rapporto o condizione di dipendenza, soggezione, servizio


[11] Partito Nazionale Fascista (PNF) - Il PNF fu fondato a Roma il 7 novembre 1921 per iniziativa di Benito Mussolini come trasformazione in partito dei Fasci Italiani di Combattimento, movimento politico fondato, sempre da Mussolini, a Milano, in piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919.
I fascisti conquistarono il potere il 28 ottobre 1922 con una prova di forza (marcia su Roma) e la nomina di Mussolini a capo del governo.
In seguito alla modifica della legge elettorale in senso maggioritario, il PNF ottenne una netta maggioranza alle elezioni politiche dell'aprile 1924, duramente contestate dalle opposizioni, che ne denunciarono l’irregolarità.
Il PNF fu l'unico partito ammesso in Italia dal 1928 al 1943, dopo l'emanazione delle leggi eccezionali.
Il partito si dissolse con l'arresto di Mussolini (25 luglio 1943) e la conseguente caduta del regime fascista. Il 27 luglio il nuovo governo di Pietro Badoglio decretò ufficialmente lo scioglimento del PNF.
Liberato dai tedeschi il 10 settembre, Mussolini costituì il 13 settembre un nuovo Partito Fascista Repubblicano (PFR) e un nuovo stato, la Repubblica Sociale Italiana (RSI, detta anche Repubblica di Salò), nella parte d'Italia ancora occupata dai tedeschi. Segretario del PFR fu nominato il 15 settembre Alessandro Pavolini.
Il PFR cessò la sua esistenza con la morte di Mussolini e con la fine della Repubblica di Salò (28 aprile 1945).

[12] tratti di corda - alla persona da punire venivano legate le mani dietro la schiena; alle mani si legava anche una corda che era in grado di arrivare in alto, e veniva fatta passare in una carrucola posta molto sopra la testa della persona da punire; la corda arrivava a ridiscendere giù per essere monovrata dal boia; questi tirava giù la corda e faceva quindi salire la vittima fino ad una determinata altezza e poi ad un tratto lasciava la corda medesima in maniera cheil mal fortunato ricadesse a terra.
Il supplizio consisteva nelle mani strettamente legate, nello stiramento indietro delle braccia e nella caduta a terra. I tratti di corda così detti potecano essere dati più volte con un minimo di tre per gli uomini adulti.
Inutile dire che tale punizione potesse causare la morte della persona da punire.
 

[13] Galileo Galilei - (Pisa, 15 febbraio 1564 - Firenze, 8 gennaio 1642), fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano, è stato uno dei più grandi scienziati dell'epoca moderna.
Il suo nome è associato ad importanti contributi: nozione di inerzia, legge della caduta dei pesi (gravità) ed in astronomia (con la scoperta della rotazione del Sole, delle macchie solari, delle montagne della Luna, dei satelliti di Giove, le fasi di Venere, le stelle che compongono la Via Lattea) ed all'introduzione del metodo scientifico (detto spesso metodo galileiano). Accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo venne condannato come eretico dalla Chiesa Cattolica e costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche.
La questione da parte della chiesa, era oltremodo delicata, perchè comportava l'inaccettabile autonomia del sapere scentifico dalla teologia. La reazione contro il copernicanesimo fu quindi violenta.
Il 22 giugno 1633 Galileo fu riconosciuto colpevole di “aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il Sole [...] non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo”.
Galileo fu giudicato colpevole e condannato alla detenzione.
Minacciato di tortura e condannato al carcere a vita, Galileo, già malato, ritrattò le sue teorie. In ginocchio giurò: Abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più [...] cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione. Secondo la leggenda, una volta alzatosi in piedi, colpì la terra e mormorò: “Eppur si muove!”.
Il carcere fu mutato, dopo una settimana, nel confino a casa dell'arcivescovo Piccolomini e poi, dopo pochi mesi nel confino della villa che Galilei aveva ad Arcetri.
Nel 1638 quando era già completamente cieco, pubblicò (a Leida, in Olanda) il suo lavoro più importante: Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno a due nuove scienze. In essa tratta le leggi del moto e la struttura della materia.
Galileo Galilei si spense l'8 gennaio 1642, a Firenze, circondato dai suoi allievi e nella quasi totale cecità. Venne tumulato nella basilica di Santa Croce a Firenze.
Venne infine assolto dall'accusa di eresia solo nel 1992, 350 anni dopo la sua morte, quando Il Papa Giovanni Paolo II ha restaurato Galileo (e le sue opere) ufficialmente dichiarando che la chiesa aveva condotto male il caso.
 


[14] Alice Miller PHD (b. 1923) is a psychologist noted for her work on child abuse and its effects upon society as well as the lives of individuals. She was born in Poland and raised and educated in Switzerland. She gained her doctorate in Philosophy, Psychology and Sociology in 1953 in Zurich, Switzerland.
She became strongly disenchanted with her chosen field of Psychoanalysis after many years spent in practice. Her first three books originated from research she committed herself to as a response to what she felt were major blind spots in her field; however by the time her fourth book was published, she no longer believed that psychoanalysis was viable at all. Drawing upon the work of Psychohistory, Alice Miller has analysed such subjects as Adolf Hitler, Jürgen Bartsch, and many artists such as Pablo Picasso, Virginia Woolf, and Franz Kafka to find links between their childhood traumas and the outcome of their lives.
Miller states that all instances of mental illness and crime come about as a result of trauma that occurred in childhood and was not adequately made up for by a helper which she has come to term an Enlightened Witness. She extends this trauma to include all forms of child abuse, including those that are commonly accepted (such as spanking and time-outs) which she calls poisonous pedagogy.
In the 1990s Miller strongly supported a new method from J. Konrad Stettbacher, who was later charged with incidents of sexual abuse. Since then she has refused to bring forward therapist or method recommendations. She explained her decision and how she could fall for Stettbacher and her opinion on regressive therapies in the open letters 'Communication to my readers' and 'Note to my readers'


Bibliography

Her books include:
Prisoners of Childhood: The Drama of the Gifted Child (1981) ISBN 0465062873
For Your Own Good: Hidden Cruelty in Child-Rearing and the Roots of Violence (1983) ISBN 0374522693
Thou Shalt Not Be Aware: Society's Betrayal of the Child (1984) ISBN 0374525439
Banished Knowledge: Facing Childhood Injuries ISBN 0385267622
The Untouched Key : Tracing Childhood Trauma in Creativity and Destructiveness ISBN 0385267649
Pictures of a childhood : sixty-six watercolors and an essay ISBN 0374232415
The Drama of the Gifted Child: The Search for the True Self (1996) ISBN 0465016901
Paths of Life: Seven Scenarios (1998) ISBN 0375403795
Breaking down the wall of silence : the liberating experience of facing painful truth ISBN 0525933573
The Truth Will Set You Free: Overcoming Emotional Blindness (2001) ISBN 0465045847
The Body Never Lies: The Lingering Effects of Cruel Parenting (2005) ISBN 0393060659

Her essays include:
Childhood Trauma
The Political Consequences of Child Abuse

[15] Carabinieri – forze armate italaine che sono anche polizia

[16] chioche - particolari calzari fatti con la pelle di capra che si indossavano con calzini molto pesanti fatti di lana di pecora filata a mano, coprivano poco più della pianta del piede ed erano assicurati alla gamba da lunghe stringhe fatte anch’esse con pelle di capra.

[17] Giovanni della Casa - (Mugello, 28 giugno 1503 - Montepulciano, 14 novembre 1556) - poeta e letterato italiano.
Dopo la formazione umanistica, intraprese la carriera ecclesiastica e, sotto Paolo IV, fu segretario di Stato. Rime, rappresentativo canzoniere del Cinquecento; Il Galateo (1551-1554), celeberrimo trattato sul modo di ben comportarsi in società.
Giovanni della Casa studiò prima a Bologna e poi nella stessa Firenze, sotto la guida di Ubaldino Bandinelli, che lo indirizzò verso le materie letterarie.
Con un amico del Bandinelli, Ludovico Beccadelli, si immerse per due anni nella lettura dei classici latini.
In seguito studiò il greco a Bologna e, nel 1532, intraprese la carriera ecclesiastica a Roma, una carriera che lo portò a diventare Arcivescovo di Benevento nel 1544 e, nello stesso anno, nunzio apostolico a Venezia.
In quest'ultima città redasse l'introduzione dei tribunali dell'Inquisizione, approntò alcuni famosi processi e tentò la creazione di una lega contro Carlo V. Proprio in questi anni scrisse numerosi versi e trattati ma, con la elezione a papa di Giulio III, la sua fortuna declinò e decise di ritirarsi in una villa nella Marca Trevigiana, dove si dedicò ai suoi studi e dove scrisse il Galateo.
In seguito fu richiamato a Roma, come segretario di stato vaticano, da papa Paolo IV, succeduto a Giulio III.
Morì poco dopo, il 14 novembre 1556.
 


[18] Il Galateo, overo De' costumi - Il noto trattato del Cinquecento (1550 - 1555) di Monsignor Giovanni della Casa sulla "buona creanza" e sul corretto comportamento. Ha influenzato i costumi di gran parte della società occidentale degli ultimi secoli. Il termine "galateo" deriva da Galeazzo (Galatheus) Florimonte, il vescovo di Sessa che ha suggerito a Monsignor Giovanni della Casa di scrivere il trattato.
"L'eleganza del comportamento è conseguenza di un sereno dominio delle inclinazioni naturali..." - Giovanni della Casa.

 

[19] regno delle due Sicilie – è il nome che il re Ferdinando IV di Borbone dette al suo regno, comprendente la Sicilia, la parte meridionale della penisola italica e alcune isole minori, dopo la fine dell'era Napoleonica e la restaurazione del 1816.
(Abruzzo ci sta dentro questo reame – mentre Piemonte e Firenze non lo sono poichè stanno nel nord’Italia.)
Origine del nome: Il nome, abbastanza singolare nella storia d'Italia, trae origine dalla vicenda iniziata con l'arrivo in Italia, nel 1265, di Carlo I d'Angiò (investito, da Papa Clemente IV, del titolo di Re d'amendue le Sicilie).
In seguito alla rivolta dei Vespri Siciliani del 1282, il Regno fu diviso in due parti, l'una (l'isola siciliana, denominata Regno di Trinacria) sotto il controllo degli Aragonesi, l'altra (la parte continentale) sotto il controllo degli Angioini, entrambe rivendicanti il 'titolo' di Regno di Sicilia.
Di qui anche le denominazioni Regno di Sicilia al di qua del faro e Regno di Sicilia al di là del faro.
Prima della Rivoluzione Francese del 1789 e delle successive campagne napoleoniche, la dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano formalmente divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia. Il regno di Sicilia comprendeva l'isola che aveva quello stesso nome, così come la maggior parte dell'Italia continentale a sud di Roma.
Generalmente si conviene comunque di inserire nella trattazione storica del Regno delle Due Sicilie tutto il periodo di sovranità borbonica sui regni di Napoli e Sicilia (a partire dunque dal 1734) per una evidente continuità tra le diverse entità statali. Questo regno fu fondato a Palermo, dalla dinastia normanna Altavilla, nell'undicesimo secolo.
Fu nel 1816, durante il governo Borbone del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, che questi due stati furono formalmente uniti per formare il Regno delle Due Sicilie. Tuttavia, già molto tempo prima che ciò avvenisse, si faceva riferimento a Carlo di Borbone (il quale regnò dal 1734 al 1759) come a re delle "Due Sicilie" in numerosi decreti reali e in altri documenti ufficiali redatti durante il suo regno.


[20] censo - il complesso dei beni e delle ricchezze posseduti da una persona: divisione delle classi sociali in base al censo.

[21] Grand Hotel - Un genere di matrice italiana è quello delle storie romantiche “a fumetti”. Grand Hotel nacque nel 1946 e ottenne una larga diffusione. Arrivò rapidamente al milione di copie. Talvolta un’affermazione scherzosa chiarisce un fenomeno meglio di tante dissertazioni. Una cameriera intelligente e spiritosa a quell’epoca lo spiegò così: «La signora compra sempre Grand Hotel, lo legge tutto, e poi con disprezzo lo dà a me dicendo che è un giornale da serve».

[22] “scriazzo” – dialetto per la frusta


[23] La frusta - è formata da una corda o da una cinghia, solitamente con una maniglia rigida. È usata per assestare colpi agli esseri umani o agli animali come mezzo di controllo, punizione o tortura.
Quando viene agitata velocemente alla sua base, la frusta genera un forte rumore caratteristico di questo strumento, ed il rumore rompe la barriera del suono. La frusta é il primo oggetto fatto da uomo che rompe la barriera del suono.



Tipi di frusta: Oggi ci ne stanno tre tipi principali di fruste usato per il lavoro; cadono in una delle tre seguenti categorie:-

La Frusta all’impugnatura                           Frusta “Toro”                                            Frusta a Serpente

La Frusta all’impugnatura (Stock Whip) – é la frusta classica australiana, spesso fatto di pelle di canguro. Il nome di questa frusta viene dalla manica (l’impugnatura) che in inglese si chiama lo “stock”, e non dal fatto che si usavano per controllare i bovini (anch’essi chiamati in inglese lo “stock”) .

La carattaristica essenziale della Frusta “Toro” (Bull Whip) che la distingue dallo Stock Whip, é il fatto che sia la manica che la corda sono fatti dalla stessa treccia, così essenzialmente é un’unità. La manica é rigida. In Galles ed in Scozia i pastori la usano il rumore per addestrare i cani da pastore: segnalando con il “crack” quando il cane ha sbagliato o se diviene troppo entusiasta. La Bull Whip ancora si usa per i bovini in certe parti del mondo e da a molti un’introduzione allo sport popolare di far scioccare la frusta.
Grazie a Hollywood, la Bull Whip é l’unica di essere bene conosciuta poiché é usata nello sport ed é conosciuta sia come la frusta usata da innumerevoli cowboy (e cowgirl) che dai caratteri come Indiana Jones, Cat Woman, Zorro e molti altri.

La Frusta a Serpente (Snake Whip) o Frusta da Sparo, é la frusta dimenticata del cowboy. Manca la manica rigida della Bull Whip, ma altrimenti la somiglia; la manica e la corda sono fatti dalla stessa treccia e specificamente la manica é flessibile. Questo fatto permette che può essere avvolta a spirale (quindi il nome) e posta nella bisaccia. Quelle piccole possono anche essere portate nella tasca della giacca; queste fruste a volte erano preferite dai mandriani lavorando a piede, perché potevano essere appese attorno al collo, pronte ad usare all’istante.
Un racconto dice che la Frusta Serpente ha preso il nome da quelli che tirano scherzi attorno al fuoco di accampamento che buttavano una frusta di pelle scura ingrembo di un altro campeggiatore, gridando “serpente”. Nel buio della notte era difficile distinguere la differenza tra la frusta ed un serpente vero, che faceva paura al recipiente, ma che faceva ridere gli altri campeggiatori.

 



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Ricordi di Torricella/Memories of Torricella