Ricordi di Torricella
Memories of Torricella
Memoria, spazio, e tempo: L’emigrazione di una famiglia Giojosana dal Cinquecento ai nostri giorni Eric M. Umile, Psy.D. Questo saggio è stato tratto dalla presentazione di una conferenza intitolata: “...Percorrendo i luoghi della memoria...”, il 4 di aprile 2004, nell’auditorio comunale di Gioiosa Marea, Provincia di Messina, sponsorizzata dall’Associazione Progetto 33, l’Assessorato di Beni Culturali della Regione Siciliana e del Comune di Gioiosa Marea. Mi chiamo Eric Umile. Abito a Filadelfia, negli Stati Uniti d’America. In questo saggio, parlerò della mia ricerca genealogica sulla mia famiglia, dell’importanza della memoria nella mia opera genealogica, e degli effetti dell’emigrazione sulla mia famiglia. Ho un interesse particolare per l’argomento memoria. Sono di professione uno psicologo clinico, specializzato in neuropsicologia, materia che studia appunto le relazioni fra il cervello ed il comportamento. Valuto e curo persone con disturbi neurologici e con ferite traumatiche del cervello. La memoria è la facoltà conoscitiva più importante che io valuto. È anche la funzione mentale più vulnerabile. Se una persona perdesse l’abilità ad imparare e ricordare, diverrebbe invalida intellettualmente e funzionalmente. Perderebbe importantissimi ricordi di persone ed esperienze, che svanirebbero come neve al sole. Perderebbe il senso del tempo e del fine. Perderebbe il passato. Alla fine perderebbe se stesso. Sono anche un genealogista, e sono molto interessato alla memoria dalla prospettiva storica. Senza memoria non possiamo conoscere la nostra storia o le vite delle persone che hanno vissuto prima di noi. Per me, la genealogia è solamente una via sistematica per conservare i ricordi dei nostri antenati. è stata la mia vocazione principale fin da quando ero giovane. Ho cominciato la ricerca della storia della mia famiglia italiana nel 1983. Il lavoro era difficile, ma facevo dei progressi. Qualcuno mi ha detto che la maggior parte degli Europei non sono affascinati dalla genealogia come lo sono gli Americani. Non studio le ragioni di ciò, ma sono sicuro che ci sono fattori sociologici e culturali per spiegarlo. Ho ipotesi mie. Gli Europei sono discendenti di famiglie che hanno vissuto nella propria patria per secoli, qualche volte nello stesso paese. La maggior parte degli Americani, d’altra parte, sono figli o nipoti di emigranti. Loro non conoscono molto bene la terra d’origine da cui i loro antenati sono venuti. Molti Americani hanno perso la loro identità etnica originale. In un certo senso, non conoscono se stessi. Hanno perso il loro contesto storico, e cercano di soddisfare il senso di mancanza di "qualcosa" nella loro vita. Vogliono ricordare cose che avevano dimenticato. Una volta ho letto di un camposanto in Messico diviso in due parti: la prima parte ospita "i morti recenti", le tombe sono abbellite con fiori portati dai viventi; la seconda parte ospita "i morti veri", le tombe non sono mantenute perché nessun vivente li ricorda. "I morti recenti" sono ancora ricordati; "i morti veri" non sono ricordati. In altri termini, quando un vecchio è morto, lui prende con sé i suoi ricordi di molte altre persone. In quel momento, queste persone divengono "veramente morte" perché nessun vivo le ricorda (Cfr. Irvin D. Yalom, Existential Psychotherapy, New York: Basic Books, 1980, p. 46). Da morti, vorreste che la vostra famiglia ed i vostri amici vi ricordassero, perché se vi ricordano, continuate ad esistere nelle loro menti e nei loro cuori. Comunque, quando la vostra famiglia ed i vostri amici sono morti, e non c’è nessuno a ricordarvi, siete svaniti dal mondo dei viventi, e divenite "morti veri". In quel momento, solo Dio vi ricorda. L’idea che i nostri antenati continuano ad esistere nella nostra memoria ha prodotto in me una grande impressione. Questo ci dice che noi siamo i custodi delle memorie dei nostri antenati, se noi venissimo meno alle nostre responsabilità, loro sarebbero dimenticati. Scomparirebbero nella notte dei tempi e diverrebbero "morti veri". Questo è il motivo per cui io cerco i cognomi dei miei antenati. Con la mia ricerca, "i morti veri" ritornano dall’oblio e si riuniscono con la famiglia dei viventi. Esistono di nuovo nella mia mente e nelle menti di coloro che leggono la mia ricerca. Esistono di nuovo perché sono ricordati. In un certo senso, vivono di nuovo nelle nostre memorie. Il mio cognome è Umile, ma questo non fu sempre così. Mio nonno fu battezzato "Adolfo Umina" nel 1889 nella città di Chieti in Abruzzo. Il Tribunale di quella città, nel 1902, cambiò il suo cognome da "Umina" a "Umile". Originariamente, il cognome si scriveva "Umina". Suo padre, Vincenzo Umina di Chieti, lo scriveva allo stesso modo, ed anche suo nonno Antonio Umina di Chieti, e suo bisnonno Francesco Umina. Francesco Umina era un siciliano originario dell'isola di Lipari, nell'Arcipelago delle Eolie, nella Provincia di Messina, in Sicilia.Il padre di Francesco si chiamava invece "Natale Gumino.” Questo Natale era nativo di Giojosa Guardia, un vecchio borgo feudale che era situato sulla cima di un monte in Sicilia. Il cognome di Natale si scriveva "Gumino", una variazione minore del cognome "Gumina", che è il cognome predominante in Sicilia. Generazioni prima, il cognome "Gumino", si scriveva "Di Gumino", e si trova "Di Gumino" nei registri parrocchiali di Giojosa Guardia, oggi custoditi presso l’archivio parrocchiale di San Nicola di Giojosa Marea. è ovvio che il mio cognome ha subito molte trasformazioni. Mi sembra che tre siano i fattori responsabili di questi mutamenti: emigrazione, spazio e tempo … e sono tutti affini. Il tempo era un fattore definito. Tutte le cose cambiano col tempo, questo è innegabile. Anche lo spazio e l’emigrazione sono stati fattori importanti. Mentre la mia famiglia traslocava nello spazio geografico da un posto ad un altro, era influenzata da diverse forze socio-culturali, che producevano la graduale trasformazione del cognome. Ironicamente, tutte queste modifiche avvenivano in Italia. Il mio cognome non è più cambiato da che la famiglia è emigrata negli Stati Uniti. Sono certo che i miei antenati sono originari di Gioiosa Guardia dal 1550. Duecento anni più tardi, verso il 1758, il mio antenato Natale Gumino scese a valle per l'ultima volta e raggiunse la costa per navigare nelle acque delle Isole Eolie. Questa fu la prima emigrazione della mia famiglia. Natale era l’unico figlio di Antonino Gumino, che era il quinto e più giovane figlio di Giovanni Gumino detto Cappellina. Antonino morì quando suo figlio Natale era un bambino. Natale ebbe tre zii facoltosi, ma nessuna parte del patrimonio di famiglia. Non ebbe incentivi per rimanere a Giojosa Guardia, ed andò via verso il 1758 quando raggiunse la maggiore età. Non so dove abitò il decennio seguente. Nel 1768 lo rinvenni abitante a Lingua, nell’isola di Salina. Si sposò con una donna di Lipari, allevò una famiglia a Lipari, e l’ortografia del suo cognome cambiò da "Gumina" ad "Umina". Natale viveva di certo ancora a Lipari nel 1799, ma non so la data ed il luogo della sua morte. Natale ebbe tre figli: Antonino, Giuseppe e Francesco Umina, che fecero qualcosa di inusuale. Non rimasero a Lipari, loro luogo di nascita, ma continuarono le escursioni itineranti, già iniziate dal loro padre Natale ed emigrarono una seconda volta nella penisola italiana. I motivi di questa seconda partenza sono scomparsi nella notte dei tempi. Credo che le necessità economiche abbiano giocato un ruolo importante. Comunque, è certo che i tre fratelli andarono via verso il 1800 e non ritornarono più in Sicilia. Questo fu la seconda emigrazione della mia famiglia. Mio antenato Francesco Umina era il fratello più piccolo. Andò prima nel comune di Rodi Garganico nell’allora provincia di Capitanata (oggi Foggia) e poi si stabilì nella città di Chieti. I suoi discendenti abitarono in Chieti per cento anni. Il suo pronipote, Adolfo Umina (mio nonno), nacque lì nel 1889. All’età di 16 anni, Adolfo lasciò i suoi genitori ed emigrò da Napoli negli Stati Uniti. Questo era la terza emigrazione della mia famiglia. Mio nonno vide l’Italia per l’ultima volta quando il suo piroscafo, Il Piemonte, si fermò nel porto di Palermo. Due settimane dopo, Adolfo arrivò nell’Ellis Island in New York, era il tre luglio del 1905, poi andò a Filadelfia. Nel Dicembre del 1908, mio nonno Adolfo sposò a Filadelfia mia nonna Rosa Maria Teti, che era la figlia maggiore di Marziale Teti e Marianicola d'Ulisse, entrambi di Torricella Peligna. Il mio bisnonno Marziale emigrò negli Stati Uniti nel 1887 e sua moglie Marianicola nel 1891. Sua figlia Rosa Maria nacque a Filadelfia nell'anno successivo. Lei e mio nonno Adolfo ebbero nove figli. Come si può vedere, il mio ramo della famiglia Gumina è stato "itinerante" per sette generazioni, da quando Natale Gumino partì da Giojosa Guardia, 250 anni fa. Ci sono state tre emigrazioni in questo periodo, il che è alquanto unico se paragonato ad altre famiglie con lo stesso cognome. Più recentemente, cioè dai primi del Ventesimo secolo, la maggior parte dei Gumina sono emigrati direttamente dal loro paese nativo verso gli Stati Uniti (o l’Australia o il Sud America). In altri termini, sono emigrati solo una volta. Quasi tutti si sono stabiliti nella parte orientale degli Stati Uniti, nel Massachusetts, New York, New Jersey, Pennsylvania ed Ohio. Alcune famiglie si sono stabilite nello stato meridionale della Louisiana. Alcune sono andate in California, sulla costa occidentale. Come sapete, milioni di italiani emigrarono negli Stati Uniti dopo il 1870. Più di 4 milioni emigrarono fra 1876 a 1920. Fu veramente un grande esodo nella storia del mondo. Molti di questi emigranti erano poveri e volevano scappare dalle difficili condizioni economiche italiane, per esempio tasse alte e paga bassa. Credevano nella verità del famoso proverbio: "Chi esce, riesce", e speravano di trovare una vita migliore in America. Alcuni emigranti trovavano "il sogno Americano" e divennero cittadini degli Stati Uniti. Altri abitarono e lavorarono in America ma non rinunciarono mai alla loro cittadinanza Italiana ed alla fine ritornarono in patria. L’emigrazione fu una necessità per la mia famiglia. Mio bisnonno Vincenzo Umina non era un uomo ricco. Lui e sua moglie Maria allevarono otto figli. A fine secolo, quattro di questi figli emigrarono verso paesi lontani. Uno di loro era mio nonno Adolfo. Lui trovò lavoro in una fabbrica americana, si sposò, ebbe nove figli, e comprò una casa a Filadelfia. Non ritornò più in Italia. Evidentemente non aveva voglia di rivedere il suo paese natale. Nel 1920 divenne cittadino degli Stati Uniti d’America. È innegabile che l’emigrazione di mio nonno ha portato molti vantaggi ai suoi figli ed ai suoi nipoti, me compreso. Purtroppo, ci sono pure conseguenze negative. Ho già detto della prima conseguenza negativa, cioè la non-conoscenza della storia familiare. Non ho mai conosciuto mio nonno; è morto quattro anni prima che io nascessi. Mio padre Antonio non ha mai parlato di lui. Non sapeva dove era nato suo padre, né i nomi dei suoi parenti. Sa solo che suo padre emigrò dall’Abruzzo. Quando, nel 1983, cominciai la ricerca del mio lignaggio paterno, conoscevo soltanto il cognome di mio nonno. Allo stesso tempo, avevo una "fame" incredibile per conoscere il mio retaggio. Avevo tante domande, ma purtroppo nessuno sapeva niente. Quindi era necessario ricercare e ricostruire la mia storia familiare da solo. Fortunatamente ho avuto successo. A proposito, è probabile che mio nonno e mio bisnonno non sapevano che il loro cognome era siciliano o che discendevano da una famiglia siciliana. Mio padre fu molto sorpreso quando gli comunicai che la nostra famiglia era di origini siciliane. Ricordo ancora quando lui mi disse: "Non lo sapeva nessuno". Questo è un esempio del come l’emigrazione, attraverso il tempo e lo spazio, può oscurare o cancellare la conoscenza dei tempi passati. Un’altra conseguenza negativa è stata quella di perdere la lingua italiana. Mio nonno parlava sempre italiano con mia nonna Rosa Maria, ma mai con i figli. Come molti emigranti, insisteva che i suoi figli imparassero a parlare l’inglese. C’erano ragioni pratiche per questo durante quel periodo. L’inglese era la lingua degli Stati Uniti, e gli emigranti dovevano imparare e parlare l’inglese se volevano avere successo in America. Questo era necessario per il processo di assimilazione. C’era inoltre, in alcuni posti, pregiudizio nei riguardi degli italiani, e parlare una lingua straniera poteva accrescere la discriminazione o peggio. Purtroppo, la capacità di parlare italiano nella mia famiglia è completamente persa. La lingua è sola una parte della cultura, e la perdita della cultura italiana è stata la conseguenza più negativa nell’emigrazione di mio nonno. Lui aveva 16 anni quando andò in America, e per ciò che sappiamo non era pratico di cultura e tradizioni italiane. Quindi la ricchezza culturale non si potò trasferire ai figli o ai nipoti. Mio padre fu della prima generazione Italo-Americano, però non conosceva tanto della cultura italiana, eccetto forse le cose imparate guardando sua madre in cucina. Lui e suoi fratelli si erano americanizzati. Si arruolarono nell’esercito americano nella seconda guerra mondiale e sposarono donne di altre nazionalità (per esempio, irlandese o inglese), il che confuse ancor più l’identità etnica dei loro figli. Mio padre sposò mia madre, una donna inglese-americana, che non era nemmeno cattolica. Io sono cresciuto in una casa non religiosa, dove non si celebrava la cultura o la tradizione italiana. Da ragazzo, non avevo conoscenza della mia identità etnica. Ovviamente, parlo aneddoticamente, e l’esperienza familiare non è rappresentativa dell’esperienza di tutti gli emigranti italiani andati in America. Molti emigranti hanno portato le nostre tradizioni ed i nostri costumi in America, e continuarono a celebrarli e praticarli, il che contribuì sostanzialmente alla stessa cultura Americana. Questi sono gli italiani di cui noi leggiamo nei libri storici. Comunque, molti emigranti non desiderano ritornare in Italia. Non sono così nostalgici da ritornare a piedi ai loro paesi natii. Non si sono voltati indietro mai, hanno guardato solo in avanti alla loro nuova vita in America. Questo era mio nonno. Ma questo non sono io. Per tutta la vita, ho avuto un forte desiderio di conoscere la storia dei miei antenati e del mio retaggio. Questo è stato sempre molto importante per me. Sebbene io sia grato a mio nonno per il suo coraggio ad andare in America, mi dispiace che lui non abbia portato con se la memoria della sua patria e che non abbia trasmesso la pratica della cultura e delle tradizioni italiane tra suoi figli. Credo che molte cose siano state dimenticate. A volte penso che mi sarebbe piaciuto crescere in una casa dove si celebravano tradizioni e costumi italiani, dove si trasmettevano i racconti della famiglia e dove i ricordi dei miei antenati si potevano conservare. Una conoscenza precedente del mio retaggio avrebbe reso la mia vita più interessante e soddisfacente. Non è però successo prima, e quando è successo è stata opera mia. Sono stato molto fortunato. Oggi sto provando a trasmettere questa conoscenza e questo orgoglio etnico alle mie figlie. Loro sono giovani, ma spero che un giorno apprezzeranno i miei forzi. Dovremmo conoscere chi siamo e da dove veniamo, affinché si possa ritornare alle case dei nostri antenati. Nel 2004 sono tornato in Sicilia, a Gioiosa Guardia, proprio sulla cima del monte. Sono arrivato al settimo cielo, tra le nuvole che avvolgevano la casa dei miei antenati. Mi è sembrato di essere giunto alla fine di un lungo viaggio nel tempo e nello spazio. L’odissea della mia famiglia era finita. Finalmente, dopo 250 anni, ero ritornato a casa. |
Memory, Space, and Time: The Emigration of a Gioiosan Family from the 1500s to Our Times Eric M. Umile, Psy.D. This essay was adapted from a presentation at the conference: "…Percorrendo i luoghi della memoria…" [Journeying through the places of the memory], on April 4, 2004, in the Auditorium Comunale in Gioiosa Marea, Province of Messina, Italia. Sponsored by Association Project 33, the Regione Siciliana Assessorato Beni Culturali, and the Town of Gioiosa Marea. My name is Eric Umile. I live in Philadelphia in the United States. In this essay, I will speak about my genealogical research on my family, the importance of memory in my genealogical work, and the effects of emigration on my family. I have a special interest in memory. I am a clinical psychologist by profession, with a specialization in neuropsychology, or the study of brain-behavior relationships. I evaluate and treat persons with neurological disorders and traumatic injuries of the brain. Memory is one of the most important cognitive faculties that I evaluate. It is also one of the most vulnerable. If a person loses the ability to learn and remember, he becomes disabled intellectually and functionally. He may lose cherished memories of persons and experiences, which vanish like snow in the sun. He loses his sense of time and purpose. He loses his past. In the end, he loses himself. I am also a genealogist, and very interested in memory from a historical perspective. Without memory, we cannot know our history or the lives of the people who lived before us. For me, genealogy is simply a systematic way of preserving the memory of our ancestors. It has been my principal avocation since I was a boy. I began researching the history of my Italian family in 1983. It has been hard work, but there has been much progress. Someone once told me that most Europeans are not as fascinated with genealogy as are Americans. I have never investigated the reasons for this, but I am sure there are sociological and cultural factors to explain it. I have my hypothesis. Europeans are descendants of families who have lived in their native countries for centuries, sometimes in the same town. On the other hand, most Americans are the children and grandchildren of emigrants. They know little about the countries of origin from whence their ancestors came. Many Americans have lost their sense of ethnic identity. In a sense, they don’t know who they are. They’ve lost their historical context, and some of them search for it to satisfy the feeling that something is missing from their lives. They want to remember that which was forgotten. Once I read about a small cemetery in Mexico that is divided into two parts: in one part are the "recently dead," whose graves are still adorned with flowers placed there by the living. In the other part are the "truly dead," whose graves are no longer maintained—they are remembered by no living soul. The "recently dead" are still remembered; the "truly dead" are not. In other words, when an old person dies, he takes with him his memories of many other people. At that moment, those persons become "truly dead" because no living person remembers them (See Irvin D. Yalom, Existential Psychotherapy, New York: Basic Books, 1980, p. 46). If you died today, you would want your family and friends to remember you, because if they remember you, you continue to exist in their minds and hearts. However, when your family and friends die, and there is no one left to remember you, you vanish from the world of the living, and become "truly dead." At that moment, only God remembers you. This idea that our ancestors continue to exist in our memories made a great impression on me. It tells us that we are the stewards of the memory of our ancestors, and if we neglect our responsibility, they will be forgotten. They will vanish into the mists of time and become "truly dead." This is what motivates me to search for the names of my ancestors. Through my research, the "truly dead" return from oblivion and are reunited with the family of the living. They exist again in my mind, and in the minds of those who read my research. They exist again because they are remembered. In a certain sense, they live again in our memories. My surname is Umile, but this was not always the case. My grandfather was baptized "Adolfo Umina" in 1889 in the city of Chieti in Abruzzo. The Court of that city, in 1902, changed his surname from Umina to Umile. Originally, his surname was spelled "U-M-I-N-A." His father, Vincenzo Umina of Chieti, spelled It the same way, and also his grandfather Antonio Umina of Chieti, and his great-grandfather Francesco Umina. Francesco Umina was a Sicilian from the Island of Lipari in the Aeolian archipelago in the Province of Messina in Sicily. His father, Natale Gumino, was a native son of Gioiosa Guardia, an ancient feudal town that was situated on the summit of a mountain In Sicily. Natale's surname was spelled "G-U-M-I-N-O," a minor variation of "Gumina," which is the predominant spelling in Sicily today. Generations earlier, the surname "Gumino" was written "di Gumino," and one finds "di Gumino" written in the parish registers of Gioiosa Guardia, which are today in the possession of the parochial archive of San Nicola in Gioiosa Marea. Obviously, my surname has undergone several transformations. It seems to me that three factors were responsible for these mutations: emigration, space, and time… and these are all related. Time was a definite factor. All things change with time. This is undeniable. Space and emigration were also important factors. As my family emigrated through geographical space from one location to another, they were exposed to diverse sociocultural influences, and these forces produced the gradual transformation of their surname. Ironically, all of these changes occurred in Italy. My surname has undergone no further changes since the family emigrated to the United States. I am certain that my family lived in Gioiosa Guardia since about 1550. Two hundred years later, about 1758, my ancestor Natale Gumino left the summit of the mountain, descended through the lower valley to the coast for the last time, and sailed across the water to the Aeolian Islands. This was the first emigration in my family. Natale was the only child of Antonino Gumino, the fifth and youngest son of Giovanni Gumino (nicknamed Cappellina). Antonino died when his son Natale was a baby. Natale had three rich uncles, but no share in the family fortune. He had no incentive to remain in Gioiosa Guardia, and he left when he reached maturity. I do not know where he lived for the next decade. In 1768, he reappears as a resident of the village of Lingua on the island of Salina. He married a woman of Lipari, raised a family on Lipari, and the spelling of his surname changed from Gumino to "Umina." He was living on Lipari in 1799, but I do not know the time and place of his death. Natale had three sons, Antonino, Giuseppe, and Francesco Umina, who did something unusual. They did not remain on Lipari, the place of their birth, but continued the itinerant excursion already begun by their father, and emigrated a second time to the Italian peninsula. The motive for this second departure is lost in the mists of time. I suspect that economic necessity played an important role. However, it is certain that the brothers left Lipari about the year 1800 and never returned to Sicily. This was the second emigration in my family. My ancestor Francesco Umina was the youngest of the three brothers. He traveled first to the town of Rodi Garganico in what was then the province of Capitanata (now Foggia), and then settled in the city of Chieti in Abruzzo. His descendants lived in Chieti for the next 100 years. His great-grandson, Adolfo Umina, my grandfather, was born there in 1889. At the age of 16 years, Adolfo left his father and mother and emigrated from Naples to the United States. This was the third emigration in my family. My grandfather saw Italy for the last time when his steamship, Il Piemonte, stopped at the port of Palermo. Two weeks later, he arrived at Ellis Island in New York on July 3, 1905, and then went to Philadelphia. In December of 1908, my grandfather Adolfo married my grandmother, Rosa Maria Teti, in Philadelphia. She was the oldest daughter of Marziale Teti and Marianicola d'Ulisse of Torricella Peligna. My great-grandfather Marziale emigrated to the United States In 1887; his wife Marianicola emigrated In 1891. Their daughter Rosa Maria was born In Philadelphia the next year. She and my grandfather Adolfo had nine children. As you can see, my branch of the Gumina family has been itinerant for 7 generations, ever since Natale Gumino left Gioiosa Guardia 250 years ago. There have been three emigrations during that time, which is rather unique in comparison to other families with the same surname. More recently, that is, since the beginning of the 20th century, the majority of Guminas emigrated directly from their native town to the United States (or to Australia or South America). In other words, they emigrated only once. Most of them settled in the eastern United States, in the states of Massachusetts, New York, New Jersey, Pennsylvania, and Ohio. Some Gumina families settled in the southern state of Louisiana. A few went to California on the West Coast. As you know, millions of Italians emigrated to the United States after 1870. More than 4 million emigrated between 1876 and 1920. It was truly one of the largest exoduses in history. Many of these emigrants were poor and wanted to escape the difficult economic conditions in their native country, for example, high taxes and low wages. They believed in the truth of the famous proverb, "Chi esce, riesce," ("Whoever leaves, succeeds"), and hoped to find a better life in America. Some emigrants found "the American dream" and became citizens of the United States. Others lived and worked in America but never renounced their Italian citizenship and eventually returned home to their native country. Emigration was a necessity for my family. My great-grandfather Vincenzo Umina was not a rich man. He and his wife Maria raised eight children. After the turn of the century, four of these children emigrated to foreign lands. One of them was my grandfather Adolfo. He found work in an American factory, married, raised nine children, and eventually owned his own home in Philadelphia. He never returned to Italy. He evidently had no desire to see the town of his birth again. In 1920, he became a citizen of the United States. It is undeniable that my grandfather’s emigration brought many positive benefits to his children and his grandchildren, myself included. Unfortunately, there were also negative consequences. I have already mentioned the first one, namely, the forgetting of our family history. I never knew my grandfather; he died four years before I was born. My father Anthony never spoke of him. He did not know where his father was born, or the names of his father’s parents. He only knew that his father emigrated from Abruzzo. When I began to research my paternal lineage in 1983, I knew only my grandfather’s name. At the same time, I had an incredible hunger to know my heritage. I had many questions, but unfortunately, no one knew anything. Therefore, it was necessary to research and reconstruct my family history myself. Fortunately, I have been quite successful. By the way, it is very likely that my grandfather and great-grandfather never knew their surname was Sicilian or that they were descended from a Sicilian family. My own father was very surprised when I told him that our family had a Sicilian origin. I can still remember him saying to me, "Nobody ever knew that." This is an example of how emigration, through space and time, can obscure or erase one’s knowledge of the past. Another negative consequence of emigration was the loss of the Italian language. My grandfather only spoke Italian with my grandmother Rosa Maria, but never to his children. Like many Italian immigrants, he insisted that his children learn to speak English. There were practical reasons for this during that period. English was the language of the United States, and immigrants had to learn and speak English if they wanted to succeed in America. This was necessary to the process of assimilation. Furthermore, there was prejudice toward Italians in some places, and to speak a foreign language could invite discrimination or worse. Unfortunately, the capacity to speak Italian was completely lost in my family. Language is just one part of culture, and the loss of Italian culture was the third negative consequence of my grandfather’s emigration. He was 16 years old when he went to America, and therefore was not well versed in Italian traditions and customs. Hence, the richness of Italian culture was not transmitted to his children and grandchildren. My father was a first-generation Italian-American, but did not know much about Italian culture, except perhaps the things he learned watching his mother in the kitchen. He and his brothers were Americanized. They fought for the United States in the Second World War, and some of them married women from other nationalities (for example, Irish or English), which further confused the ethnic identity of their children. My father married my mother, an English-American woman who was not a Catholic, and I was raised in a non-religious home where Italian traditions and culture were not celebrated. When I was a boy, I had no knowledge of my ethnic identity. Obviously, I am speaking anecdotally, and the experience of my family is not representative of the experience of all Italians who went to America. Many Italian emigrants brought their traditions and customs to America, and continued to celebrate and practice them, which contributed substantially to American culture. These are the Italians who we read about in the history books. However, many emigrants had no desire to return to Italy. They felt no nostalgic yearning to walk again in the towns of their birth. They never looked back, but only looked forward to their new life in America. This was my grandfather. But this is not me. All of my life, I have had a strong desire to know my heritage and learn about my ancestors. It has always been of great importance to me. Although I am grateful to my grandfather for his courage to go to America, I am disappointed that he did not bring with him the memory of his native land, nor transmit the practice of the traditions and culture of Italy among his children. Most of these things were forgotten. Sometimes I wish that I had grown up in a home where the old traditions and customs were celebrated, family stories were transmitted, and the memory of my ancestors was preserved. A stronger knowledge of my heritage would have made my early life more interesting and meaningful. But unfortunately this did not occur, and when it did occur, it was the result of my own efforts. In any case, I have been very fortunate. Today I am trying to transmit this knowledge and ethnic pride to my own children. They are still very young, but I hope that one day they will appreciate my efforts. We should all know who we are and where we come from, so that one day we might return to the home of our ancestors. In 2004, I went to Sicily and returned to Gioiosa Guardia on the summit of the mountain. I was on cloud nine--literally standing In the clouds In the home of my ancestors. On that day, I felt like I had arrived at the end of a long journey, through time and space. The odyssey of my family was finished. Finally, after 250 years, I had come home. |